giovedì 24 febbraio 2011

NBA senza frontiere. E senza bandiere...

Vi premetto che non voglio fare un discorso polveroso o dietrologia spicciola, ma a mio avviso la stagione NBA 2010/11, con la clamorosa trade estiva di James e Bosh a Miami e quella più recente che ha portato Carmelo Anthony ai Knicks e Deron Williams ai Nets, determina la fine di un'epoca.
Mi spiego: in precedenza erano le franchigie a fare i giocatori e non il contrario. Miti cestistici come Larry Bird, Magic Johnson, Michael Jordan, Isiah Thomas o Kobe Bryant (che comunque appartiene a una generazione precedente di giocatori) sono stati il simbolo delle loro rispettive squadre. Adesso James, Anthony, Williams, Stoudemire possono essere considerati "bandiere"? Ne dubito.
Questo ovviamente non ha nulla a che fare con la loro qualità di giocatori, ma a mio avviso il loro carisma e la possibilità di sedimentarsi nell'immaginario collettivo ne risentono clamorosamente.
Anche il clamore mediatico delle trade riguardanti LeBron o Carmelo è qualcosa di decisamente innovativo: il primo addirittura ha realizzato uno special televisivo per annunciare il suo passaggio agli Heat, l'altro è stato protagonista di una telenovela che ha coinvolto tutti i media in maniera a dir poco intensiva, quasi ai limiti della credibilità degli stessi organi di informazione.
Prima non era così: un grande giocatore quando decideva di cambiare squadra lo faceva quasi sempre in punta di piedi, attento al rispetto della società che lasciava e di certo non desideroso di rimanere troppo sotto i riflettori di stampa ecc.
Anche questa volontà di cambiare squadra dopo (relativamente) pochi anni è sintomo di un basket che cambia, che vuole la vittoria a tutti i costi e in tempi brevi. Pensiamo ad esempio alla più importante trade del passato recente, quella che ha portato Ray Allen e Kevin Garnett ai Boston Celtics: il simbolo dei Minnesota Timberwolves ad esempio ha preso questa decisione dopo una vita spesa a dare tutto per la squadra, trascinandola a una finale di conference che ha rappresentato davvero il massimo che quella franchigia avrebbe potuto otterene. A me pare una scelta ben differente da quella fatta da Anthony o LeBron James (entrambi 26enni, quindi ancora giovani), che hanno cambiato aria lasciando il malcelato dubbio di non aver dato tutto alle loro precedenti squadre. Pensiamo ad esempio ai playoff di James contro i Celtics o i Magic negli anni appena passati...
Per come la vedo io, il "mercato" cestistico di quest'anno ha definitivamente sancito un nuovo modo di vedere il ruolo del giocatore/stella sia all'interno della franchigia che nel contesto più ampio del sistema cestistico/mediatico gestito dal commissioner David Stern.
Siamo di fronte a una nuova era per l'NBA?

 

2 commenti:

Unknown ha detto...

aimè tutto vero... purtroppo.

Unknown ha detto...

...e noi?